Due chiacchiere con l’amministratore delegato di Ablativ in un momento in cui si parla spesso di comunicazione e informazione, specie nella nostra isola dove i due concetti non fanno quasi mai rima con libertà e obiettività.
Ogni incontro con Sandro è sempre interessante perchè offre chiavi di lettura nuove per la realtà che ci circonda. Sandro è molto attento ai fenomeni e alle dinamiche dei social, alle nuove tecnologie e agli sviluppi. Il confronto non può che cominciare da una breve presentazione personale.
– in trenta secondi chi é Sandro Usai?
È appassionato di tecnologia e comunicazione. Coniuga l’uso delle tecnologie con applicazioni per la comunicazione favorendo lo sviluppo di contenuti capaci di elevare l’attenzione dei lettori e dei clienti. Integra in modo costante le nuove tecnologie e le nuove tendenze sperimentando la fruizione integrata di contenuti multimediali.
– Come nasce Ablativ?
Ablativ in effetti è sempre esistita nei miei sogni. Ho sempre avuto uno spirito libero che si è potuto concretizzare nel 2006 con la nascita di Ablativ. Quindi una idea imprenditoriale che punta a valorizzare i talenti che ruotano intorno alla nostra realtà favorendo lo sviluppo, l’inclusione e l’integrazione di tutti i soggetti. Innovazione e sperimentazione per arrivare a produrre soluzioni sempre al passo con i tempi e impregnate di buon senso e buona tecnologia.
– Quali sono le difficoltà di fare comunicazione e informazione in Sardegna?
Bella domanda. Posso dirti cosa vedo io. L’informazione molto spesso non usa la comunicazione per cercare di arrivare a tutti e essere leggibile con i nuovi standard elaborati dai canali social e web. E poi, ultimamente, almeno al Sud sto notando che il livello dei contenuti presentati nei siti web (e cartaceo) di informazione è sceso e più che di giornalismo di qualità sta prendendo piede un giornalismo superficiale, con scarsi contenuti e scarsa attenzione al lettore.
Eppure mai come oggi si ha necessità di giornalismo di qualità, di precisione e di inchieste serie basate sugli open data e non sulle sensazioni e sull’appartenenza. Un esempio per tutti viene dai comunicati stampa istituzionali che utilizzano i media di informazione come un megafono. Spesso vengono pubblicati senza un minimo di analisi e provocando, nel lettore, la sensazione che sia un articolo nato in redazione. Un po’ di fact checking non guasterebbe e ci sarebbe lavoro per qualche giornalista serio e libero e abituerebbe molti giornalisti addetti stampa a scrivere con più attenzione e meno autoreferenzialità.
– L’informazione in Sardegna può migliorare o siamo a un punto di non ritorno?
In questo momento l’informazione in Sardegna (e non solo) è in caduta libera perché è collegata alla disponibilità economica degli editori e non ai progetti innovativi che dovrebbero scaturire dai giornalisti. Sarebbe sufficiente analizzare i contenuti degli organi di stampa per farsi un giudizio preciso.
L’informazione digitale (non quella che spesso viene barattata come tale solo perché si appoggia su un sito web) è quasi sconosciuta sia da parte dei giornalisti che degli editori. Sino a qualche settimana fa sentivo che internet è la minaccia più grande per il giornalismo. Facebook è una delle cause della crisi del giornalismo, eccetera. La verità secondo me è un’altra. Mai come oggi i giornalisti non sanno fare più il loro lavoro. Sono in forte difficoltà perché non vogliono aprirsi, non vogliono accettare di modificare i loro modi di lavorare e di produrre notizie secondo un approccio totalmente nuovo e inclusivo dei lettori. Durante i vari colloqui professionali emerge con forza che la maggior parte dei giornalisti non conoscono le metriche di scrittura digitale, non sanno come comportarsi con i social e soprattutto non sono abituati ad ascoltare i lettori. Ma la cosa più triste è che molti di loro non praticano il giornalismo digitale sui propri profili social, non hanno un blog, non dibattono e non si confrontano. Ultimamente ho visto solo qualche tentativo di un giornalista cagliaritano che ha messo in pratica i suggerimenti scaturiti durante i corsi di data journalism e che sono stati citati e ripresi anche dalle cronache nazionali. Se vogliamo migliorare la qualità dell’informazione bisogna sperimentare nuovi modi di dialogare con i lettori appoggiandosi ai canali in uso e superando la condizione psicologica che i giornalisti sono gli unici capaci di riconoscere la verità dei fatti.
– E invece ci scontriamo con un presente che non è proprio così….
Esatto! La realtà che vedo mi indica che spesso non è così. L’altro aspetto molto delicato riguarda il futuro degli editori: non ci sono! Quindi i giornalisti dovranno occuparsi di giornalismo attraverso una relazione peer to peer con i lettori utilizzando le nuove tecnologie della comunicazione ma stando attendi a evitare di farsi fagocitare e strumentalizzare. Una prova di questo la possiamo trovare nei progetti messi in piedi da Google e Facebook. Entrambi sono interessati alle news e stanno investendo molti soldi per sperimentare e capire il modello di business vincente per i prossimi anni. Grazie a questa collaborazione, per ora con gli editori e in futuro direttamente con i creatori di contenuti i nuovi padroni del mondo canalizzeranno le news secondo gli algoritmi preconfigurati e con il rischio di farci apparire un mondo per un altro sino a farci credere che siamo noi i padroni della verità.
– Quanto potrebbe rappresentare un’occasione di miglioramento culturale? E come?
Sono convinto che se l’informazione migliora (qualità e precisione) cresce anche la coscienza civile delle persone. Se i nuovi giornalismi non sapranno sviluppare un ecosistema che interagisce con i lettori e le istituzioni non si può alimentare la cultura. La cultura ha necessità della materia prima che è insita nelle azioni e nella valorizzazione della nostra identità e ha bisogno dei canali di diffusione per arrivare a sensibilizzare le persone e migliorarle.In questo i giornalisti dovrebbero essere i principali attori, insieme alla scuola, per migliorare la nostra capacità di analisi.
– Fare il giornalista oggi, in un periodo di bufale e di scopiazzanti, ricerca dei click e mistificazione, ha ancora un senso?
Sicuramente ha ancora senso fare giornalismo. Poi bisogna vedere se il giornalismo lo praticano meglio i giornalisti o gli altri; bisogna vedere se informano meglio le redazioni dei giornali oppure le persone che vivono i fatti direttamente. Se a questo aggiungi che anche lo stile sta degenerando a favore della mediocrità allora maturi davvero il pensiero negativo che gli editori stanno tirando a campà in attesa di tempi migliori. Insomma mi sembra che negli ultimi tempi il giornalismo e i giornalisti non vanno proprio in sincronia. Che dire delle buffale o degli scoppiazzamenti. Credo che sia un fenomeno sempre esistito ma ultimante è più evidente perché attraverso i vari strumenti di confronto maturiamo il convincimento di che cosa è più verosimile e anche in quel caso suggerisco prudenza!
– In quali progetti siete ora occupati? Quali i prossimi, se puoi anticiparlo?
In questo momento siamo occupati nella pubblicazione di SARDEGNA magazine per quanto riguarda il cartaceo e nella realizzazione di un sito istituzionale per il turismo. Anche se Ablativ propende per le tecnologie digitali ci piace misurarci anche con le soluzioni cartecee. Però applichiamo al cartaceo la modalità ipergiornale consentendo ai lettori di fruire, tramite smartphone, di contenuti video collegati alla foto fissata sulla carta.
Il futuro è straordinario per l’accelerazione che stanno avendo varie soluzioni di fruizione di contenuti e che consentiranno alle persone di godere di ogni bene immergendosi nella tecnologia e accogliendo le nuove sfide.
– Un libro e un sito che consiglieresti ai nostri lettori?
Mi piace moltissimo la possibilità di consigliare un libro di un autore che mi fece conoscere proprio un grande giornalista, Mario Sechi, durante il mio periodo di lavoro a L’Unione Sarda, Jeremy Rifkin “La società a costo marginale zero. L’Internet delle cose, l’ascesa del Commons Collaborativo e l’eclissi del capitalismo”.
Sono attirato dalla possibilità della sharing economy e della possibilità di superare l’inutile competizione di un capitalismo sfrenato che sta portando il mondo a danni irreparabili.
È molto più difficile suggerire un sito web da seguire perché gli esempi di genuinità e bontà sono veramente tanti e tutti disponibili. Consiglio invece di non smettere di navigare in internet perché siamo solo agli inizi di un nuovo mondo che, ne sono certo, ci aiuterà a ritrovare i valori della condivisione e della solidarietà più di quanto non ha fatto il capitalismo.
– Un pensiero per chi si avvicina al mondo della comunicazione
Credo che sviluppare competenze nella comunicazione sia diventato indispensabile per migliorare la convivenza civile e favorire il progresso. Moltissime persone utilizzano smartphone, sono sempre connessi e pubblicano sui vari canali social e web. Interagire, dialogare, confrontarsi: tutti lo devono saper fare bene impadronendosi delle tecniche di scrittura e della comunicazione, che per il momento sono maggioritarie rispetto al dialogo audio e video. Insomma va bene avere idee ma bisogna anche imparare a rappresentarle con il giusto linguaggio e lo stile più consono.
– E come ha fatto questo mondo a farti avvicinare se non innamorare?
Tutto è nato dalla curiosità di comprendere i fenomeni sociali. Si, se non capisci come parla la gente, come scrivono i giornali, come si esprimono i politici, come leggere i silenzi e le pause, rischi di rimanere ghettizzato ai margini della società e di non diventare mai un cittadino attivo. E poi mi piace molto alternare l’italiano al campidanese, mi piace mischiare e creare quelle armonie che a volte solo il sardo sa darti, naturalmente lo posso fare quando il mio interlocutore capisce entrambe le lingue. Ma la lingua è vissuto! la lingua è la tua vita! Ecco perché mi piace e sono appassionato dei modi di dire e dei modi di non dire.