David Modica, un “cagliaritano” a Ryad

Sardo d’adozione, partito per laurearsi a Milano, ci racconta la sua vita in giro per il mondo. E lancia un consiglio alle nuove generazioni…

– Ciao David, come nasce il tuo legame con Cagliari?
Da bambino, a 5 anni, ci siamo trasferiti da Siracusa, dove sono nato. Mio padre avrebbe dovuto fare frequenti trasferimenti per lavoro ed invece è rimasto a Cagliari per tutta la vita. Per un siciliano, la Sardegna è come la Sicilia senza alcuni difetti (non tutti purtroppo). Poi sono cresciuto a Cagliari e quindi resta un forte legame, soprattutto con gli amici.

– Quali sono i tuoi ricordi della nostra città?
Ho ricordi bellissimi finché ho potuto vivere senza pensare al futuro, per un bambino ed un adolescente penso sia veramente il paradiso. Ricordo, erano tempi diversi, 2 mesi di vacanza al mare, ci “trasferivamo” a Santa Margherita. E poi libertà, serenità, clima mite, amici!

– Come mai hai lasciato questo “paradiso”?
Decisi di fare ingegneria gestionale e all’epoca il corso era praticamente solo al politecnico di Milano. Pensavo che con quella laurea sarei potuto essere utile in Sardegna. Una volta laureato ho capito che la cosa era molto più complicata, per alcuni anni ho provato a dare un contributo pur da lontano ma ci vorrebbe ben altro.

– Quali esperienze hai avuto dopo? Quali tappe e destinazioni?
Ho lavorato una decina di anni a Milano nel mondo dei sistemi informativi gestionale e poi la crisi mi ha obbligato ad una svolta. Ho pensato che volevo fare un lavoro più vicino ai miei studi. Sono veramente ripartito da zero, anche come guadagni. Sono entrato nel mondo delle costruzioni civili grazie ad un’altra svolta. Conobbi la mia attuale moglie, architetto, che in via di separazione cercava lavoro. Nel tentativo di darle una mano, ho finito per lavorare in quell’ambito. Ad un certo punto non ci piaceva più stare a Milano e io sentivo forte la necessità di recuperare il colore, la natura, l’acqua…Decidemmo di andare a vivere nel lago d’Iseo. Ritrovavo l’acqua, il sole e un modo di vivere simile a quando stavo in Sardegna ma era veramente un salto nel buio perché era un territorio a noi sconosciuto e trovare lavoro in zona non era facile soprattutto per la crisi. Era il 2011 e io avevo già 42 anni. Mi contattò un’azienda di Brescia e mi propose un lavoro in Guinea Equatoriale, nella foresta, rientri a casa ogni tre mesi, due giorni di viaggio per rientrare. Sistemazione in un campo in cui i nostri alloggi erano dei container. E’ stata un’esperienza durissima ma per me ha rappresentato la svolta.

– Vedo che torni spesso, che sensazioni ti fa provare la tua città d’adozione? E la tua isola? E quali ricette vorresti apportare per migliorare la situazione attuale?
Torno poco rispetto alla voglia che avrei. Alla fine circa una volta all’anno, quasi sempre in estate. Cagliari mi sembra più bella ed effettivamente lo è ma io ormai la vedo da turista sia pur legato da affetti visto che la mia famiglia vive lì e ci sono i miei amici più importanti. Ricette purtroppo non ce ne sono. Sarebbe un discorso lungo perché riguarda la mentalità da cambiare. Se si vuole uno sviluppo economico bisogna rinunciare ad alcune cose e secondo me molti non ne vogliono sapere. Quando vivevo a Cagliari, in genere, nella famiglia media entrambi i genitori lavoravano e si viveva discretamente. Quella generazione fa resistenza al cambiamento. Non so i giovani perché non li frequento. Provo a fare un esempio: il turismo. Il mare da solo non basta. Occorrono investimenti importanti e non possono arrivare dallo Stato, devono arrivare da privati. E ci vogliono progetti simili alla Costa Smeralda. In questi anni di crisi, anche per chi di economia ne capisce poco, si è capito che gli unici che non ne risentono sono quelli che lavorano per il lusso. Questo non significa rinunciare ad altre forme di turismo ma ricordiamoci che per arrivare a Rimini basta un’auto, e questo limita parecchio il target di mercato. Chi ha reso famosa la Sardegna nel mondo è la Costa Smeralda, ma molti sardi la vivono come un corpo estraneo. Quando dico che per lo sviluppo occorre rinunciare a qualche cosa dico che dobbiamo scegliere tra il goderci quel paradiso solo noi e NON farne un mezzo per vivere, o sviluppiamo questa ricchezza aprendo veramente le porte dell’isola ai turisti e agli investitori.

– Di cosa ti stai occupando ora in Arabia?
Lavoro per un’azienda che installa impianti elettrici e meccanici in edifici civili. Qui stiamo costruendo un palazzo dell’università. Tutta la penisola arabica dovrebbe essere guardata con attenzione dalla Sardegna. Hanno il petrolio ma stanno pensando al futuro quando non avranno più l’oro nero. Dove investono? Formazione ovvero scuola, università…, turismo religioso per l’Arabia Saudita che ha la Mecca, glamour per gli altri Paesi.

– Come si vive in un posto così diverso, quali sono le esperienze e le situazioni?
La vita in Arabia Saudita per un Expat della mia età, 46 anni, al di là del caldo non è terribile almeno a Ryiad. Diversa la situazione altrove dove l’integralismo religioso è soffocante. La condizione della donna soprattutto è veramente pesante. Qualcosa, molto lentamente, sta cambiando. Ora finalmente possono lavorare e andare all’università ma ancora non possono guidare, unico Paese al mondo. C’è una separazione sessuale incredibile, è praticamente vietato qualsiasi contatto tra uomo e donna non della stessa famiglia. Diversa è la situazione degli altri Paesi del Golfo che essendosi votati al turismo e non avendo la Mecca in casa, si sono aperti di più.

– Parliamo del domani. I progetti futuri di David.
A me piacerebbe stare di più con la mia famiglia. Spero di avere un contratto in futuro che mi consenta di pianificare almeno i prossimi 3 anni della mia vita. Invece, il mio lavoro prevede l’avvio dei progetti e la successiva gestione. Ora oltre all’Arabia Saudita, seguo a Copenaghen la nuova metropolitana. E quindi, vedo molto poco la mia famiglia. Ultimamente, li vedo una settimana al mese e in questo settore sono un privilegiato. I miei colleghi tornano a casa una volta ogni 3 mesi.

– Cosa puoi consigliare, oggi, dopo tutte le esperienze che hai fatto, a un giovane sardo?
Studiare, imparare bene l’inglese e possibilmente altre lingue e quindi viaggiare, viaggiare preferibilmente da soli. Viaggiare significa perdere la visione “locale” e vedere le cose da un altro punto di vista. Ogni volta che vedo i telegiornali italiani mi rendo conto di quanto siamo provinciali rispetto a CNN, BBC ma anche ad Al Jazeera…

 

Nicola Montisci (www.nicolamontisci.com)

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