Di Fabrizio Marcello
Sin da bambino con ansia aspettavo l’accensione de “Su Fogu de Santu Antoni”
I giorni freddi de “Su Ierru” rompevano quel torpore che quell’enorme falò sprigionava. Di solito l’impazienza di noi ragazzini tra le 16 e le 17 era evidente nei confronti del priore di turno che faceva una promessa per le vicissitudini della vita, che in cambio organizzava sa “Tuvera” e “Cozzina” per il falo’ (le radici degli alberi), con l’invito de “Sa pane manna” e del buon vino di proprietà per tutto il paese.
Dopo che le fiamme alte si sprigionavano, e l’odore della quercia arricchiva l’aria, Su Preide (il sacerdote), dava la benedizione al fuoco.
Ricordo quei momenti di spensieratezza, tra chi un po brillo per rompere quel freddo, si avvicinava a quel calore. Erano momenti dove nel piccolo paese tutti si riunivano e tra un brindisi e i racconti, dimenticavano la solitudine e le difficoltà della vita.
Complice il gioco di luci e ombre animate dalle scintille impazzite provenienti dai tizzoni ardenti, l’atmosfera che si creava davanti al fuoco di Sant’Antonio era magica e immersiva, tutta da vivere.
Le tradizioni sarde