Il nostro asinello oggi ci parla del mondo degli atenei locali e delle loro caste
Una delle cose che più mi fa imbestialire in Italia è il mondo dell’università. Odio quel modo così subdolo e spaccone con il quale l’università italiana rimane attaccata a metodi interni che ricordano e rispecchiano i processi ereditari di passaggio delle cariche di altri tempi e altre epoche. Così gli atenei italiani pullulano di clan, famiglie, combriccole che sono assolutamente chiuse come caste (o aperte a pochissimi eletti) e non permettono ad altri – che spesso per titoli e risultati raggiunti lo meriterebbero – di entrare e farne parte stabilmente. La Sardegna naturalmente non fa eccezione: ho frequentato l’università sarda degli Asini e so bene come funzionano le cose anche nella nostra Isola.
Lo spunto per parlarne me lo da un articolo che ho letto (LO TROVATE QUI) e che parla del bando per 29 posti da ricercatore a tempo determinato proposto dall’università di Sassari. Un bando che ha suscitato molte proteste e polemiche, soprattutto perché i criteri di valutazione sono immediatamente apparsi troppo dettagliati e legati a progetti di ricerca eccessivamente specifici. Già, proprio come se quasi sia possibile prima del concorso individuare facilmente chi lo vincerà. Niente di nuovo sotto il sole mi direte voi. Ma che posso farci? Io non riesco mai a far finta di nulla e sentire le proteste di molti partecipanti – alcuni dei quali mi hanno scritto – che si sentono già esclusi a priori dalla possibilità di competere non mi lascia indifferente.
Ammettiamolo, non è certo la prima volta che succede una cosa del genere. Così da una parte si profila un ricorso al Tar con un comitato che ha segnalato anomalie e incongruenze mentre dall’altra – e come potrebbe essere altrimenti? – il rettore e i vertici dell’ateneo sassarese affermano che tutte le regole sono state rispettate. Il solito giochetto insomma, dove la casta universitaria cerca di proteggersi dall’esterno. Un metodo odioso per tagliare fuori tante persone, molto spesso giovani, distruggendogli anche la speranza di poter concorrere alla pari in una gara dove troppo di sovente si sa già chi è il vincitore.
Le università italiane (e sarde) sono piene di “figli di” e “parenti di” da non poterne proprio più. So bene che sono lo specchio della società italiana, dove corruzione e favoritismi la fanno da padrone, ma non sarebbe ora di iniziare a lottare e a protestare davvero per cambiare questo stato di cose? Possibile che si accetti ancora che le menti più brillanti dell’università italiana siano costrette a scappare all’estero per avere quel sostegno, quelle opportunità e quella dignità che in Italia sono continuamente negate? Perché sempre più spesso i posti nelle università non sono occupati da chi se lo merita – con le dovute eccezioni che naturalmente ci sono – ma da emeriti deficienti che hanno come unico requisito quello di essere figlio o parente di qualche importante professore di vecchio stampo. Per quanto riguarda la Sardegna non siamo messi certo bene da questo punto di vista. Sapete che c’è una classifica dello scorso anno sul nepotismo nelle università italiane? Indovinate come si sono piazzate le due università dell’Isola? Sassari al secondo posto e Cagliari al terzo (in cima c’è Bari). Ve lo aspettavate? Io sì. Siamo terra di Baroni, anche all’università. QUI TROVATE LA CLASSIFICA COMPLETA
Allora mi auguro che per questo concorso sassarese arrivi presto la verità e soprattutto che possa vincerlo chi veramente merita e non il solito raccomandato “made in Sardinia”. Anche se temo che anche stavolta le cose siano già decise da tempo.
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