Continuiamo con le nostre piccole e grandi storie in giro per la Sardegna e il mondo. Non ricordo come ho conosciuto i protagonista di questa, Riccardo Soro, lo ammetto. Forse in disco o forse come contatto semplice su facebook. Fa un po’ ridere ma è così. Ha collaborato con me, dimostrando di essere uno che farà tanta strada. Non voglio anticiparvi nulla. Ero certo che, quando gli ho proposto l’intervista per raccontarci il suo Erasmus e la sua vita da studente lontano da casa, avrebbe avuto qualcosa di interessante da raccontarci. Lo ha fatto e lo ringrazio.
Chi è Riccardo? Un ragazzo di 24 anni come tanti, che si interessa fortemente alla sociologia e all’arte, con un particolare amore per il cinema e per la scrittura, iscritto al terzo anno del corso in Scienze della Comunicazione a Cagliari e tutt’ora sta svolgendo il suo periodo di Erasmus.
- Subito mi viene in mente un’informazione per tanti che vorrebbero fare questa esperienza. Partire in Erasmus, come si fa? (dedicato a chi non lo sapesse)
Da un punto di vista tecnico ci sono diversi criteri. Il più importante è sicuramente la media dei voti che hai sviluppato nel corso degli anni accademici: più alta sarà, maggiori saranno le possibilità di entrare a far parte della “cerchia degli eletti”. Altri due criteri importanti sono la lettera di motivazione che ti viene richiesta in sede di colloquio, quindi già in una fase più avanzata, e la conoscenza previa e certificata di un’altra lingua, magari proprio quella richiesta dall’università ospitante. E poi tanta, tanta pazienza perché l’iter burocratico che si affronta prima della partenza è davvero stressante.
- Io che amo la Spagna sono curioso di capire come ti stia trovando anche tu da quelle parti…
La Spagna è un paese che ti avvolge sempre nel suo caldo abbraccio (e non mi riferisco solo al clima). È un paese fortemente legato alla proprie tradizioni, alla propria lingua (qua traducono proprio tutto!), alla propria storia, quasi al limite del provincialismo e del bigottismo. È un paese che si è già portato avanti sul piano del melting pot mondiale: infatti, aldilà dei ragazzi che svolgono il periodo di Erasmus, non è difficile imbattersi in polacchi, svedesi, lituani, giapponesi, francesi, tedeschi, statunitensi, messicani, argentini, arabi (oltre gli italiani, ovviamente). Tutte persone che vivono, lavorano e hanno trovato una stabilità qui, integrandosi alla perfezione. Questo non può che beneficiare la tolleranza e il rispetto nei confronti del prossimo. Ed è davvero bello vederlo.
- Parliamo ora della tua attuale città, Siviglia. Come le trovi?
Siviglia è una città splendida, che ha tantissimo da offrire e amministrata in maniera ottima. Dopo 4 mesi qui, ci sono luoghi che mi mozzano il fiato ancora alla trentesima volta che ci torno. Potresti non stancarti mai di visitare Plaza de España, un vero e proprio spazio a sé stante, o fare una passeggiata per il Barrio de Santa Cruz, con i suoi colori e le sue strade strettissime che ti raccontano la loro storia, o semplicemente ammirare il tramonto dal Puente de Isabel II, volgendo lo sguardo verso il Rio Guadalquivir e la schiera di casette colorate da cui inizia il quartiere di Triana. E poi tanto verde.
- Andare in una nuova città comporta difficoltà e tempi per organizzarsi: cosa ha fatto per ambientarti, quali le difficoltà?
La prima cosa che ho voluto fare (al contrario di molti miei colleghi) è stata quella di partire senza avere già in mano le chiavi di casa, così ho alloggiato per i primi giorni in un ottimo ostello in centro, di modo che avessi la possibilità di spostarmi facilmente per visitare gli appartamenti e contestualmente prendere confidenza con la città. Le difficoltà sono legate perlopiù alla lingua, perché se è vero che stiamo parlando dello spagnolo, è altrettanto vero che la cadenza sivigliana è molto marcata e all’inizio si fa veramente fatica a capire. Molti pensano che sia facile perché è simile all’italiano, ma lo spagnolo è una lingua con le sue regole e a volte sono molto diverse da quelle dell’italiano. Poi esiste “l’itagnolo” dei turisti italiani che stanno in Spagna 5 giorni, ma quello è un altro discorso.
- Come hai preparato la valigia? Cosa hai portato, cosa ti è mancato?
Ho cercato di essere analitico e razionale. Ho portato lo stretto indispensabile: abbigliamento estivo, che ho utilizzato fino a novembre inoltrato, invernale, il pc, la reflex e qualche suo accessorio, un libro di spagnolo e poco altro.
- Quali libri e canzoni raccontano questa esperienza?
Non ho avuto molto tempo di leggere per piacere finora, perché preferisco uscire a fare una passeggiata quando ne ho l’occasione, cercando di scoprire qualche angolo di Siviglia che magari fino ad adesso non ho visto. Ti dico però che c’è uno scrittore, che è nella mia personale Top3, che qui è molto sentito, ed è Gabriel García Márquez. Per quanto riguarda le canzoni la risposta è abbastanza univoca: qua, praticamente ovunque, viene “pompato” tanto reggaeton, che è poi il genere che racconta le tue serate… e le racconta tanto bene che poi ho bisogno di tornare a casa, mettermi le cuffie e sentire un po’ di Pink Floyd per disintossicarmi.
- Attualmente com’è una tua settimana tipo?
Nella mia settimana tipo vado a lezione circa 4 volte a settimana e frequento il mio corso di spagnolo per 2 volte. Il tempo libero me lo gestisco cercando di non perdere il contatto con lo studio, stando fuori di casa, viaggiando, facendo sport. La sera poi Siviglia si trasforma e diventa un mondo a parte. Tutte le notti c’è qualcosa da fare (grazie anche agli incontri organizzati dai ragazzi delle varie organizzazioni Erasmus) e se rimani a casa sei davvero una persona orribile. Il fine-settimana poi è dedicato pienamente allo svago: viaggi, serate, stadio… si può fare veramente di tutto. Sì, lo so, che fatica la vita da Erasmus.
- Quali differenze hai notato nei sistemi di istruzione?
Mah, ce ne sono tante. La prima cosa che mi sento di dire è che qua il livello è molto più basso rispetto all’università italiana. Le lezioni sono molto leggere e tendono verso la chiacchierata del professore che coinvolge gli alunni. Questo è deleterio perché toglie spesso alla parte teorica e non dà una preparazione adeguata agli studenti. Un’altra cosa che fa parte della mia esperienza è che i professori tendono sempre a riunire dei gruppi di lavoro per cercare il confronto tra gli studenti e creare una coscienza collettiva riguardo un determinato tema o problema, e se da una parte è una cosa apprezzabile, dall’altra la trovo un po’ infantile, perché credo che il lavoro di gruppo sia una prerogativa che va sviluppata nei gradi d’istruzione inferiori. Personalmente, se c’è una cosa che ho imparato dall’università è gestirmi lo studio, il lavoro, gli esami, in maniera completamente autonoma.
L’università è il punto dolente della mia esperienza fino a qui. Forse l’ambiente universitario è troppo grande e si fa fatica ad avere un’organizzazione equa e costante. I docenti stessi, come ti dicevo, sono abituati a spiegare staccandosi molto dai concetti teorici di base, e questo fa sì che lo sforzo richiesto da parte dello studente sia minimo e la preparazione scarsa. Nonostante questo, i colleghi sono fantastici. Non ho avuto grosse difficoltà a entrare in buoni rapporti con loro perché si sono dimostrati curiosi e benevoli nei miei confronti, dandomi sempre consigli e spiegandomi come funzionavano le cose.
- C’è qualcosa che ti manca dell’Italia?
La mia famiglia, le persone a me care. Mi è mancato, e mi manca ancora, il cibo. Qui c’è una forte tendenza ai sapori forti, che dopo un po’ stanca. E in più è difficile trovare i prodotti per mangiare in modo più equilibrato. Per esempio, esiste un abominio culinario che si chiama tomate frito, che vorrebbe essere un sugo di pomodoro, se non fosse che è aberrante. E dopo quattro mesi, ancora non ho trovato qualcuno che faccia una pizza decente. A volte mi manca parlare la mia lingua in certi ambienti istituzionali, perché inevitabilmente ogni tanto si verifica qualche problema di comunicazione. Per il resto no, non mi manca niente. Qui c’è tutto e pure di più.
- Cosa vorresti invece portare in Italia?
Il calore umano che gli spagnoli riservano a chiunque, la tolleranza di chi vive ogni giorno in mezzo a persone con sfumature diverse e che pregano un Dio diverso, il clima di leggerezza che governa la vita in Spagna. L’Italia è un grande paese ma è finito in un circolo vizioso di indifferenza e si è dimenticato come si ama. Qui amare è la prima regola.
- Ultima domanda: come ti vedi tra cinque anni?
Mi vedo purtroppo lontano dal mio paese, che non mi dà valide alternative per costruirmi una stabilità in Italia, mi vedo una persona felice che fa ciò che gli piace dopo tanto tempo perso, mi vedo cittadino del mondo a parlare inglese, spagnolo e forse qualche altra lingua che imparerò, mi vedo più ricco, non tanto nel portafoglio, ma dentro.