Chiudere le menti ancora prima dei corpi

Di Giulia Loglio

La settimana scorsa a Cagliari, e in tutta Italia, hanno manifestato imprenditori e lavoratori dei settori bloccati dall’ultimo DPCM. Palestre, piscine e tutto il mondo dello sport dilettantistico, ristoratori, gestori di bar e poi l’intero mondo dello spettacolo dai teatri ai cinema, dai musicisti ai tecnici. Insieme a loro molti cittadini, in nome del diritto al lavoro, sono scesi in piazza consci che la crisi di un settore si ripercuote su tutti gli altri e che chiudere teatri e cinema e impedire gli scambi culturali impoverisce tutti noi. Gli imprenditori che che hanno manifestato hanno investito molti soldi ed energie per adeguarsi alle normative emesse dal Governo ma nonostante questo hanno dovuto chiudere senza che si siano verificati rilevanti casi di contagio o effettivi rischi per la salute.

Con il prossimo DPCM probabilmente chiuderanno anche i musei. Così dopo teatri, cinema e centri culturali chiuderà anche l’ultimo baluardo di cultura condivisa, l’ultimo stimolo tangibile ad un pensiero libero che spazi fra tempo, cultura e scienza.

Chiudere le menti ancor prima che i corpi. Azzerare gli stimoli per condurre in un silenzio alienante. L’unica voce possibile e condivisa sarà la televisione e su questo vorrei citare Pasolini ma forse, visti i tempi, è più appropriato rileggere Orwell, In 1984 l’odio quotidiano delle masse veniva alimentato da urla collettive 2 minuti al giorno. Noi siamo andati oltre, è bombardamento continuo e il capro espiatorio chiunque non sia disposto a rinchiudersi fra quattro mura o a mettersi la mascherina perfino quando cammina solo.

Non importa se presti attenzione, se vivi la natura lontano da tutti, se rispetti chiunque incontri. Se pensi e agisci sei un “nemico” e come tale vai isolato. Talvolta mi chiedo se la senta solo io questa incontenibile voglia di pensare, di documentarmi, di leggere numeri e grafici dopo averli minuziosamente ripuliti dai pensieri altrui. Mi chiedo se lo senta solo io l’urlo disperato di chi sta perdendo tutto o di chi si reinventa, con coraggio e ammirevole caparbietà, dopo ogni DPCM per continuare faticosamente a vivere del proprio lavoro. Mi chiedo se solo io, guardando bambini e ragazzi, senta una stretta al cuore pensando a ciò che gli stiamo facendo, a ciò che gli abbiamo tolto. Ai segni profondi che mesi senza scuola, senza amici, senza socialità, senza cultura, senza parenti, mascherati, separati, giudicati, lasceranno dentro di loro. Dimentichi di ogni nostra adolescenziale fisiologica ribellione li condanniamo per qualsiasi cosa mentre sulle loro teste mettiamo un debito economico di proporzioni inimmaginabili che forse potranno ripagare i loro pronipoti.

Dinnanzi a tutto questo decido che l’unica salvezza è resistere, resistere alla tentazione di giudicare l’altro, allontanarmi da chi si rinchiude e abbassa la testa, sorridere a chiunque sia disposto a fare altrettanto, tessere relazioni e contatti con menti aperte e libere che vivono il presente come una sfida a crescere non ad isolarsi, perché altrimenti non ci sarà futuro. Futuro che il Governo, con sadica incapacità di calarsi nella vita reale, ci sposta sempre un po’ più in la ma noi continuiamo a guardarlo, come un rassicurante orizzonte.

Consci che per non smettere di vederlo dobbiamo difendere la nostra libertà, dobbiamo vivere il momento con grande intensità, spegnendo la televisione e guardandoci intorno.

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